Esopo e la favola antica

L’origine della favola

La favola è una narrazione con personaggi immaginari (sovente animali o piante), dalla cui azione si ricava una massima sul modo conveniente di comportarsi, oppure una constatazione di carattere generale sul comportamento umano. A differenza dell’aneddoto ha carattere allegorico, ma l’allegoria si riferisce all’umanità in generale (allegoria indeterminata), non a precisi personaggi e fatti storici (allegoria determinata). Ciò che essenzialmente caratterizza la favola rispetto alla fiaba è il fatto che essa ci è pervenuta per il tramite di una tradizione scritta pressoché ininterrotta (non senza apporti di provenienza orale, ma casuali e difficilmente documentabili); di conseguenza, a partire dal greco Esopo, la favola si è costituita come un genere letterario autonomo (favola esopica), tramandatosi in forme stabili da generazione a generazione. Sicuramente i Greci derivarono l’idea della favola esopica e molti materiali relativi dal folklore dell’Asia Minore; l’origine prima a noi nota è nella letteratura dei Sumeri, donde l’uso passò nella letteratura babilonese. Oggi non si pensa più a un’origine indiana, è accertato anzi che l’India attinse a sua volta al folklore dell’Asia anteriore. La tradizione indiana in questo campo è d’altronde ricchissima; bisogna specialmente ricordare le raccolte Pañcatantra (ossia «I cinque libri», secc. II-VI d. C.) e Hitopadesha (cioè «Il buon ammaestramento», secc. X-XIV d. C.), nonché quella di Kalīlah e Dimnah (il titolo allude a due sciacalli protagonisti di un racconto), che fu poi tradotta in arabo (sec. VII), ebraico, latino (Giovanni da Capua, sec. XIII) e si diffuse così nell’intera area mediterranea.

La favola esopica

Quanto alla favola esopica, già a partire dal III secolo a. C. circolavano raccolte di tali materiali scritte in prosa greca. Un’ampia raccolta di narrazioni concise e succose fu redatta nel I o II secolo d. C. (recensio Augustana); altre raccolte furono composte in età bizantina: una di narrazioni meno succinte e più ornate (recensio Vindobonensis) fu messa insieme forse già nei secoli VI-VII d. C. (secondo altri nell’XI o XII); un’altra in prosa più letteraria ed elegante (recensio Accursiana) nel Medioevo, comunque non dopo il XIII secolo. Nella seconda metà del I secolo d.C. il poeta siriaco Babrio scrisse una raccolta (in trimetri giambici scazonti) che influì su posteriori raccolte in prosa. I Latini conoscevano favole esopiche fin dal tempo di Ennio. Il genere fu importato ed elaborato in senari giambici da Fedro. Alcune favole di Babrio furono rielaborate in distici elegiaci da Aviano. Nella tarda antichità, su Fedro e su raccolte greche, si formò una raccolta latina in prosa, il cosiddetto Romulus, sfruttato poi in numerose rielaborazioni medievali.

Nell’oratoria antica a noi nota la favola esopica non ebbe fortuna (ne ebbe di più nella filosofia popolare); tuttavia i retori antichi, a cominciare da Aristotele, se ne occuparono e per secoli le diedero posto nella formazione retorica, compilando in greco brevi raccolte per uso delle loro scuole.

La favola esopica dovette molto della sua vitalità alla diffusione fra gli strati subalterni della società antica (non per caso dei due massimi autori, Esopo e Fedro, l’uno fu schiavo e l’altro fu ritenuto tale): da essi questo genere attinge una visione utilitaristica e pessimistica della vita, la cui conservazione è affidata tutta alla forza, all’astuzia, all’accortezza. I rapporti umani si fondano su una natura immutabile, che bisogna accettare: il suo rudimentale razionalismo e materialismo sfociano in una desolata rassegnazione.

Esopo

Esopo, favolista greco (secc. VII-VI a. C.), fu considerato da Greci e Latini l’inventore della favola detta appunto esopica, in realtà nata vari secoli prima di lui. In altri tempi si dubitò della sua esistenza (Lutero, Vico); ma oggi non si nutrono più dubbi in proposito. Nel V secolo a. C. era diffusa una sua biografia, nota a Erodoto e ad Aristofane, che conteneva notizie attendibili (anche se non è facile separarle dalle invenzioni); in essa venivano inoltre inserite alcune favole come narrate da Esopo in determinate occasioni. È ben credibile che egli sia stato uno schiavo di origine frigia, vissuto a Samo avendo come padroni un certo Xanto e un certo Iàdmone; che abbia fatto un viaggio al santuario di Apollo a Delfi e che lì, inimicatosi con la sua satira i sacerdoti e gli abitanti del luogo, sia stato da essi ucciso (564?). Entrò presto nel folklore e nella letteratura come un tipo particolare di saggio, a cui si attribuirono contatti con Creso, Solone, i sette savi, viaggi ad Atene e in varie parti del mondo greco, poi anche un lungo soggiorno alla corte di un re di Babilonia. Una parte notevole di queste tradizioni costituisce un’ampia Vita, messa insieme già nel I secolo a. C. e conservata in due redazioni diverse. Fu immaginato anche zoppo e deforme. È sicuro che Esopo contribuì a diffondere il tipo di favola a lui attribuito; ma certamente, senza farne un genere a sé, egli vi mescolava sentenze prive di racconto e motti spiritosi. Che l’esperienza di schiavo fosse alla base della sua morale è probabile; anche lo spirito «anticlericale» che avrebbe causato la sua morte può essergli plausibilmente attribuito.

Lo studio della favola esopica oggi

Lo studio della favola esopica oggi non può non risvegliare problemi etico-politici attuali. La separazione tra la lucidità rassegnata e l’aspirazione utopistica nelle classi subalterne è superata solo dal socialismo, anzi solo dal socialismo non utopistico. La libertà muore, se non sa estendersi: il che vuol dire, se non sa sostanziarsi di eguaglianza. Ora nel suo grande compito di educazione il socialismo non può costruire niente sulle illusioni oltremondane; ma può ricavare qualche cosa dallo scetticismo rassegnato della favola esopica, perché in quello scetticismo c’è pur sempre un nucleo sano di analisi della realtà sociale, una forza della ragione.

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La favola antica. Esopo e la sapienza degli schiavi

Nata in Mesopotamia, la favola antica fiorì nel mondo greco-romano, ai margini della cultura alta delle classi superiori, come particolare genere letterario dove si depositò la visione del mondo e della vita maturata dagli schiavi attraverso i secoli.

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