Giornalismo e storia: la storia del Terzo Reich di William L. Shirer

Se un giovane studente mi domandasse quale libro leggere per primo per conoscere in modo approfondito un tema rilevante di storia contemporanea, avrei esitazione: è impresa ardua suggerire un’opera che, per contenuto e metodologia, giovi alle persone desiderose d’imparare molte cose in una sola volta. Non esiste – va da sé – il libro perfetto, che possa appagare la curiosità intellettuale del pubblico amante della storia, infiniti essendo i fatti e i problemi sui quali informarsi e riflettere. Ma, dovendo proprio sceglierne uno nell’ambito della storia contemporanea, indicherei la Storia del Terzo Reich di Shirer (Einaudi) come il titolo ideale da leggere subito (prima di tanti altri che, ovviamente, dovranno poi seguire). Ma occorre giustificare una siffatta scelta, caduta su un libro vecchio di oltre mezzo secolo e su un autore che non era uno storico di professione.

William Lawrence Shirer, nato a Chicago nel 1904, cominciò giovanissimo il lavoro di corrispondente dall’Europa, dove giunse verso la metà degli anni Venti. All’inizio del decennio successivo si trovava in Germania, dove poté seguire l’ascesa al potere di Hitler e il consolidamento del regime nazista. Fu poi corrispondente di guerra e, infine, ebbe anche modo di seguire il processo di Norimberga. La sua brillante carriera giornalistica ebbe un nobile coronamento quando, dopo la seconda guerra mondiale, egli fu tra i primi a compulsare parte delle montagne di carte segrete del regime nazista, sequestrate dagli alleati alla fine del conflitto. In tal modo, Shirer poté mettere a frutto la sua lunga esperienza di quotidiana osservazione delle vicende interne e militari del Terzo Reich, confrontandola e arricchendola con quella documentazione inedita, testé messa a disposizione dei ricercatori. Il ponderoso volume che egli diede alle stampe tre lustri dopo la fine della guerra, con il titolo The Rise and fall of the Third Reich, era dunque un’indagine insieme giornalistica e storica, in ogni caso una delle prime opere d’insieme sulla tragica vicenda della Germania nazista. Dopo quasi settant’anni, il libro non ha perso il suo valore, benché sull’argomento siano ormai usciti molti studi generali e particolari.

La forza del libro sta proprio nella sapiente fusione di giornalismo e narrazione storica. Quando Shirer scrisse e pubblicò la sua sintesi, era ancora da venire la fioritura di ricerche serie e meditate sulla catastrofe abbattutasi sulla Germania dopo il 1933 e conclusasi con la distruzione e lo smembramento del paese. Lo stimolo alle ricerche e alle discussioni venne dopo il provocatorio libro di Fritz Fischer Griff nach der Weltmacht (Assalto al potere mondiale), uscito nel 1961, e il vivace dibattito che ne seguì (la cosiddetta Fischer-Kontroverse). Da allora, gli storici tedeschi hanno saputo studiare con scrupolo e acribia la loro tragedia nazionale, dedicandosi alla pubblicazione di documenti e offrendo una cospicua massa di opere generali e monografiche su tutti gli aspetti del fenomeno nazista.

Eppure, come dicevo, la grossa fatica di Shirer nulla ha perso del suo fascino. Benedetto Croce aveva ragione nel dire che la storia è sempre storia contemporanea, perché stimolata dalle esigenze del presente. Io sono però convinto che la storia sia sempre contemporanea anche in un altro senso, per il fatto cioè che riesce a conoscere e a raccontare gli eventi storici chi ha avuto modo di parteciparvi o di osservarli come testimone. Chi poi indaga sulle vicende del passato, anche remoto, riesce davvero a capirle quando scopre documenti e testimonianze che gli consentono di riviverle. Certo, oltre alla diretta conoscenza degli eventi, occorre anche una seria riflessione critica sulle cose viste e udite. In ogni caso, i bravi giornalisti sono quelli che, seguendo da vicino i fatti della storia, sono in grado di comprenderli ed esporli prima e meglio di chi poi li ricostruisce servendosi dei documenti scritti. Pertanto, la lettura dei giornali (nonché l’ascolto e la visione dei notiziari radiotelevisivi) è il compito irrinunciabile di ogni cittadino, che voglia conoscere il mondo in cui vive e opera, e ancor più dello storico, che vi trova una miniera di notizie e documenti di prima mano. Ricordo, per fare un esempio a tutti noto, le corrispondenze dall’Afghanistan di Ettore Mo per il «Corriere della sera» sul variegato mondo della guerriglia antisovietica, che erano e restano illuminanti documenti storici e umani.

In fondo, quelli che dobbiamo annoverare tra i massimi storici di tutti i tempi, Tucidide e Polibio, furono in primo luogo dei bravi giornalisti, perché raccolsero sul campo i materiali per le loro narrazioni. Essi seppero altresì elevarsi al di sopra dei fatti scrupolosamente vagliati e raccontati, interrogandosi sulle questioni generali sorte dall’osservazione di quei fatti. Cito, a mo’ d’esempio, la riflessione di Tucidide sulla guerra civile a Corcira, che getta luce sul fenomeno generale delle lotte intestine, sui tratti peculiari che le contraddistinguono e sul perché della loro eccezionale ferocia. Ricordo altresì l’acutezza dello sguardo di Polibio, il quale seppe individuare le ragioni dell’egemonia dell’aristocrazia romana in aspetti, che noi chiameremmo di antropologia culturale, come l’esibizione delle maschere degli antenati in determinate cerimonie pubbliche (il cosiddetto ius imaginum). Peraltro, la descrizione che egli ne dà è talmente coinvolgente, che par di tornare indietro nel tempo e di assistere a quelle cerimonie: insomma, un’altissima pagina di giornalismo e di storia.

Tornando a Shirer e al suo libro, bisogna notare anzitutto il carattere avvincente della narrazione: le oltre 1200 pagine si leggono senza annoiarsi né stancarsi, quasi fossero un romanzo. Ma i fatti narrati sono tanti e tutti veridici. Certo, quando Shirer vuole andar indietro nel tempo e cogliere le radici del nazismo nella cultura tedesca da Lutero a Nietzsche, il lettore resta insoddisfatto e perplesso. Ma, in fondo, neppure i massimi storici del nazismo sono riusciti a individuare con precisione l’esatto posto del nazismo nella storia della Germania moderna. Può davvero appagarci, per menzionare le ricerche e le riflessioni di un grande studioso, la pur affascinante indagine di George L. Mosse sulla storia politico-culturale dell’Ottocento tedesco e sulla «nazionalizzazione delle masse» come preistoria e premessa del nazismo? Comunque, se si eccettuano le pagine dedicate alle origini dell’ideologia nazionalsocialista, il libro di Shirer è una cronaca assai ben fatta delle vicende del Terzo Reich. Sebbene negli ultimi decenni siano emersi tanti nuovi documenti, vale ancora la pena leggere i capitoli sulle azzardate e riuscite mosse di Hitler in campo diplomatico, sul patto Molotov-Ribbentrop, sullo scoppio del conflitto mondiale, sulla guerra razziale condotta dalla Wehrmacht nell’URSS, sull’annientamento degli ebrei, sulla fine del Terzo Reich.

Anche le parti dedicate agli anni del consolidamento della dittatura nazista, benché meno dettagliate, sono chiare e istruttive. Facendo tesoro della sua lunga esperienza di osservatore diretto della vita interna della Germania, Shirer ci mostra i tesi rapporti iniziali di Hitler con le aristocratiche gerarchie militari (che non nascondevano il loro disprezzo per il plebeo partito nazionalsocialista), nonché le crisi politiche interne che assicurarono il dominio incontrastato del Führer (dalla «notte dei lunghi coltelli» del giugno 1934 alla ristrutturazione del potere nel 1938). Ancor più fresche e illuminanti sono le pagine sulla società tedesca, anzitutto sull’impegno delle associazioni giovanili nazionalsocialiste (la Hitlerjugend e il Bund deutscher Mädel), che tanta parte ebbero nel catturare il consenso di ragazzi e ragazze. Dopo l’umiliazione e lo smarrimento sofferti negli anni della grande crisi, i giovani tedeschi aderirono con trasporto a un regime che non si limitava a propinar loro infuocati discorsi patriottici, ma offriva cose ben più concrete: gite, vita all’aria aperta, campi estivi. Il consenso giovanile fu così uno dei massimi punti di forza della dittatura nazista, perché i ragazzi sopportarono poi, da adulti, il peso tremendo della lunga guerra, memori degli anni felici trascorsi militando nelle organizzazioni giovanili.

Per concludere, vorrei ricordare un caso concreto di come l’esperienza di giornalista giovi alla narrazione storica nel libro di cui stiamo parlando. Shirer si sofferma a lungo sul discorso pronunciato da Hitler al Reichstag, il 28 aprile 1939, in risposta all’appello alla pace rivolto due settimane prima da Roosevelt all’Italia e alla Germania. Quell’orazione politica fu davvero «la più brillante» tra le moltissime pronunciate dal Führer, la cui capacità di trascinare l’uditorio fu talora riconosciuta anche dagli avversari (tra cui l’anarchico italiano Camillo Berneri, il quale scrisse un’acuta nota sulla tecnica oratoria di Hitler). Shirer, che quel giorno ascoltò il discorso dalla tribuna, lo riassume e cita magistralmente rimarcandone la «sottile eloquenza, astuzia, ironia, sarcasmo e ipocrisia». Ma ciò che rende maggiormente istruttivo il suo resoconto sono le notazioni, desunte dai ricordi personali, sulle variazioni di tono dell’oratore e sulle reazioni dei gerarchi e del pubblico ai singoli passaggi del discorso. Attraverso la descrizione di quel «capolavoro» oratorio, Shirer ci fa toccar con mano il modo in cui Hitler riusciva a galvanizzare i suoi seguaci e il suo popolo.

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