Carlo I d’Inghilterra e di Scozia. Il re martire

Era sabato 27 gennaio 1649.

Ci volle del tempo per far firmare l’ordine di esecuzione. Vi è molta incertezza circa i firmatari, poiché alcuni dei delegati che apposero il loro nome non erano presenti quel sabato e alcuni di coloro che erano presenti non risultano tra i cinquantanove firmatari. Il ritardo e la discrepanza nei nomi rendono plausibile la storia secondo la quale il re sarebbe stato avvicinato – il giorno stesso o il 28, prima che l’ordine fosse firmato – da alcuni inviati dell’esercito, recanti con sé un elenco di proposte: se il re avesse acconsentito, egli avrebbe conservato «la vita e un’ombra di regalità». Se questo è vero – la storia iniziò a circolare poco dopo la morte del re – Carlo rimase fedele a se stesso e ai suoi princìpi. Sarebbe divenuto un martire, non un apostata.

Il 28 o il 29 gennaio il re venne informato della data e del luogo della sua esecuzione. Carlo impiegò il tempo che gli rimaneva da vivere per scrivere lettere – tra le quali una molto lunga e piena di consigli destinata al principe di Galles –, per disporre della sua eredità e per occuparsi dei suoi cani. Il principe Enrico e la principessa Elisabetta, i due bambini prigionieri del parlamento, vennero portati a fargli visita, affinché egli potesse dir loro addio. Il re li informò di ciò che sarebbe accaduto. «Mio adorato bambino», disse prendendo in braccio il figlio di otto anni, «adesso taglieranno la testa di tuo padre». Li pregò di perdonare i loro nemici, così come lui aveva perdonato i suoi. A Enrico venne poi ricordato che sarebbe dovuto rimanere fedele alla Chiesa anglicana e leale verso il fratello maggiore, e che avrebbe dovuto resistere ad ogni tentativo di essere nominato re al suo posto. «Mi farei fare a pezzi, piuttosto», rispose il bambino. A quel punto, Carlo baciò entrambi i figli e li mandò via. Il vescovo Juxon venne a pregare con lui, poi calò la notte.

 
Carlo I (1600-1649) con M. de St Antoine, Antoon van Dyck, 1633 (Royal Collection).
L’esecuzione capitale di Carlo I.

Il mattino del 30 gennaio era pungente e gelido. Carlo indossava due camicie, per evitare che il freddo lo facesse tremare e la gente pensasse che avesse paura. Percorse a piedi il tragitto da St. James a Whitehall. Venne condotto al patibolo attraverso la sala dei banchetti, passando sotto il grande affresco, L’Apoteosi di re Giacomo, con il quale Rubens aveva decorato il soffitto. Ciò che restava del parlamento aveva in tutta fretta emanato un decreto con il quale si proibiva a Carlo di nominare un successore: non ve n’era alcun bisogno. Si era temuto che egli potesse offrire resistenza ed era stato predisposto il necessario per legarlo, ma tali timori si rivelarono infondati. Il re si rendeva conto che si trattava di una messa in scena e, come sua nonna Maria a Fotheringay, recitò la sua parte in modo magnifico. Aveva perso la guerra e i suoi nemici lo avevano sconfitto; ma con la sua morte egli avrebbe avuto ragione di loro. Ai carnefici incappucciati disse: «Dirò solo delle brevi preghiere». E al vescovo Juxon: «Ricordate». Poi si inginocchiò e posò la testa sul ceppo.

La folla accolse il colpo fatale con un gemito. «Un gemito simile», scrisse un giovane, «non lo avevo mai sentito e spero di non doverlo udire mai più». Un reparto di cavalleria intervenne per disperdere la folla. Girò voce che qualcuno avesse raccolto un fazzoletto macchiato del sangue del re. In seguito, si disse che il fazzoletto aveva il potere di guarire la scrofola, malattia conosciuta appunto con il nome di «male del re».

Nell’immaginario dei realisti Carlo divenne una sorta di Cristo sofferente, e il patibolo a Whitehall il suo Golgota. La figura fredda, distante e formale degli anni precedenti la guerra civile era scomparsa, sostituita da quella del santo re martire. Secondo Henry Guthrie: «Così scomparve il migliore dei principi, reciso nel fiore degli anni dalle mani barbare di sudditi snaturati». Non tutti, ovviamente, la pensavano così. Girò voce che Cromwell, mentre sostava presso la bara della sua vittima, avesse mormorato: «Crudele necessità». Uno scolaro di St. Paul di quindici anni, tale Samuel Pepys, ricordò la sua gioia nell’apprendere la notizia dell’esecuzione del re. Se avesse dovuto recitare un sermone quel giorno, disse che come titolo avrebbe scelto: «Che il ricordo del malvagio possa marcire e scomparire».

Al di fuori di Londra la notizia venne accolta con orrore. A Parigi l’erede di Carlo, il diciottenne principe di Galles, scoppiò a piangere quando venne chiamato «Sua maestà». Secondo quanto racconta Edward Hyde, egli «era completamente sconvolto… e cadde sotto il peso del suo dolore». Enrichetta Maria che, nonostante tutti i suoi difetti e i cattivi consigli che gli aveva spesso dato, aveva profondamente amato il marito, non riuscì né a piangere né a muoversi dalla sedia, e rimase così per molte ore dopo aver appreso la notizia della morte di Carlo. Montrose, esiliato all’Aja, svenne. 

James Graham, marchese di Montrose, 1649 (National Portrait Gallery)

Montrose dipinse la sua armatura di nero e «da quel momento», scrive John Buchan, «vi fu un’aria di mistero intorno a lui, come se vivesse metà del suo tempo in un altro mondo». Tutto ciò dimostra come Carlo, scegliendo di morire come un martire, fosse riuscito a far dimenticare tutte le follie e gli errori degli anni di governo personale, errori e follie che tempo addietro avevano portato lo stesso Montrose a firmare il National Covenant e a prendere le armi contro il suo re.

Con la morte, Carlo conquistò persino i suoi avversari. Un paio di anni dopo l’esecuzione, Andrew Marvell, poeta presbiteriano e seguace di Cromwell, scrisse un’ode eroica, celebrando le vittorie di Cromwell in Irlanda, dove il Lord Protettore aveva massacrato i prigionieri dopo la battaglia di Drogheda e detto ai nativi irlandesi che potevano andarsene «nel Connacht, oppure all’inferno». Eppure, mentre celebrava «il più grande di tutti gli uomini», Marvell scelse di inserire nel suo poema questi versi sull’esecuzione del re:

Non fece nulla di meschino
In quel momento memorabile,

Ma con occhio attento

Misurò il filo dell’ascia;

Né si rivolse agli dei con rude dispetto

Per rivendicare i diritti perduti,

Ma chinò la bella testa

Posandola come sopra un cuscino.

La fama di Carlo come un uomo sanguinario, diffusa dai suoi nemici durante la guerra, venne cancellata. Dopo la restaurazione, la versione del 1662 del Libro delle preghiere comuni incluse una messa per la commemorazione del re martire, da dirsi il giorno dell’anniversario della sua esecuzione.

 

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