Il dissidente russo Aleksej Navalnyj morto in prigione. Intervista alla storica Giulia Lami

 

Qualche giorno fa nella lontanissima e gelida colonia penale russa conosciuta come «Lupo Polare» l’oppositore di Putin Aleksej Navalnyj è stato assassinato. Ci può parlare di lui e del ruolo che ha avuto nella storia del dissenso post-sovietico?

Io direi che senz’altro Navalnyj, per la persecuzione di cui è stato vittima e per il tragico esito della stessa, per la sua capacità di testimoniare l’adesione a un ideale di libertà e di dignità, rientra oggi nella schiera degli oppositori del potere, che siamo soliti, fin dai tempi dell’Unione sovietica, definire «dissidenti».

In realtà, Navalnyj rappresenta, a mio avviso, un fenomeno diverso, perché egli fu innanzitutto un esponente politico, in un panorama, all’inizio dell’epoca post-sovietica, che permetteva l’attività politica. E questo era un fenomeno nuovo, rispetto al dissenso, che era rimasto ai margini della sfera pubblica. Navalnyj, invece, condusse una attività politica di rilievo fin dal 2000, quando si iscrisse al partito di stampo liberale Jabloko, di cui divenne presto uno dei leader, per poi mettere in campo iniziative proprie, come il Comitato per la difesa dei moscoviti, il movimento giovanile DA! – Alternativa democratica, fino al suo partito Russia del futuro.

Aleksej Navalnyj ad una manifestazione nel 2020

Non è più l’epoca dei samizdat che circolano clandestinamente, ma quella di Internet che permette di esprimersi alla luce del sole e di raggiungere milioni di persone, come dimostra il suo canale You Tube, che era particolarmente seguito dai giovani nella sua opera di critica e di denuncia.

La colonia penale russa Lupo Polare (IK-3), dove Navalnyj era rinchiuso dal dicembre 2023

Certo, egli conobbe un’evoluzione nelle proprie idee, da un fase «nazionalista», che non gli ha risparmiato critiche (spesso più in Occidente, che in Russia) ad un’altra apertamente democratica e sempre più in opposizione rispetto all’opzione politica rappresentata da Putin e dal suo entourage. Da qui i suoi guai giudiziari, che si sono susseguiti dal 2013 in poi. Non va dimenticato che nel 2016 si candidò per le elezioni presidenziali del 2018 con un programma europeista. La sua candidatura venne bocciata nel 2017, proprio per le condanne precedenti, in un circolo vizioso destinato a tenerlo al di fuori della competizione politica. E poi sappiamo come si sono sviluppate le azioni contro di lui, fino all’episodio dell’avvelenamento (2020), da lui smascherato con una brillante inchiesta di giornalismo investigativo, laddove è riuscito a far parlare uno dei personaggi che aveva fatto parte della squadra addestrata a seguirlo e «neutralizzarlo».

Indubbiamente, la sua decisione di tornare in Russia, dopo le cure prestategli in Germania, dove avrebbe potuto, forse, sopravvivere da esule, è stata un atto di straordinario coraggio e di quello spirito di “testimonianza” attraverso le proprie azioni, nonostante rischi e sofferenze, che contribuisce a farne un esempio, nel migliore spirito del “dissenso”, ma anche un riferimento per una futura alternativa al presente.

La condanna da parte dell’Occidente dell’assassinio di Aleksej Navalnyj è stata chiara e netta. Ritiene spezzato irrimediabilmente il filo sottile che ancora legava Putin alle democrazie occidentali?

Il rapporto delle democrazie occidentali con Putin è complesso, perché è complesso quello con la Russia. Ma, senz’altro, l’immagine di Putin e di quel Paese, nell’ora presente, ha ricevuto un colpo ferale dalla morte di Navalnyj, perché le condizioni in cui è stato costretto a vivere, e il luogo in cui ha trovato la morte, confermano i peggiori stereotipi sulla «Siberia» di cui proprio la letteratura russa e sovietica abbonda.

Con Navalnyj scompare un grande esponente della dissidenza russa, ma quanto forte era la sua influenza all’interno del paese? Gli oppositori di Putin assassinati e reclusi in prigione sono numerosi, ma in Russia la risposta della gente finora è stata molto flebile. Ci sono speranze di un risveglio della popolazione russa?

Memoriale per Navalnyj ad Amsterdam

Speranze sì. Del resto sappiamo poco dell’opinione pubblica russa, dato che non può esprimersi attraverso sit-in, manifestazioni, dichiarazioni aperte e così via. Ma se davvero erano milioni i ragazzi che seguivano il canale di Navalnyj non si può non credere che questa sua odissea costituisca il miglior motivo, quando e come ce ne sarà possibilità, per intraprendere una azione politica di rinnovamento.

Il martirio di Navalnyj può in qualche modo avere un effetto positivo sugli sviluppi della guerra in Ucraina?

La guerra in Ucraina è a sua volta una situazione troppo complessa e drammatica perché un singolo evento, per quanto tragico, possa cambiarne il corso. Senz’altro, da un punto di vista morale e politico, da una parte e dall’altra, sono molti i temi che la morte di Navalnyj solleva, quando, in trincea, ci si debba chiedere per che cosa vivere o morire.


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Attraverso cento date significative, Giulia Lami ricostruisce la storia dell’Ucraina dall’antichità fino al fatidico 24 febbraio 2022. Ne emerge un affresco storico che narra con ammirevole chiarezza le vicende degli Slavi orientali nei secoli IX-XIII, la storia della medievale Rus’ di Kyïv – la cui eredità è oggi rivendicata dalla Russia di Vladimir Putin –, l’appartenenza dell’Ucraina al Granducato di Lituania, la parziale unione con la Russia nel 1654, la nascita del sentimento nazionale ucraino nell’Ottocento, le vicende legate ai due conflitti mondiali, il periodo sovietico e l’indipendenza ottenuta nel 1991, fino agli avvenimenti più recenti con l’elezione di Volodymyr Zelens’kyj nel maggio del 2019 e l’aggressione russa nel 2022.

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