Jamestown. La prima colonia inglese in America (1607)

Gli imperi iberici avevano dimostrato quanto le terre americane non fossero solo immense riserve di oro e d’argento, ma pure un fertilissimo Eden agricolo. Se dalle terre di là dell’Atlantico erano iniziate ad arrivare nuove coltivazioni quali mais, patata, pomodori, le stesse si dimostrarono adatte e ideali per l’introduzione di animali da allevamento e per colture quali grano, caffè e canna da zucchero. Un’Inghilterra stremata dal lungo conflitto con la Spagna, e fortemente dipendente dal commercio con le altre nazioni, a causa di una costante carenza di beni agricoli, aveva una forte necessità di nuove terre. Se in America del Sud la presenza ormai secolare di Spagna e Portogallo rendeva impossibile ogni accesso, l’unica alternativa era guardare a quelle scoperte dal navigatore Giovanni Caboto e dai suoi epigoni in Nordamerica.

Per molti anni non si fecero progressi, con missioni fallite, abortite o scomparse nel nulla come quella di Roanoke, ma poco dopo l’ascesa al trono di Giacomo I si decise di passare dalle parole ai fatti e, come era successo per la Compagnia delle Indie Orientali, si raggiunse un accordo tra il pubblico e il privato. La Corona fornì le lettere patenti e gli statuti reali con cui si concedeva il permesso di fondare la colonia (e di goderne i frutti, restando fedeli sudditi dell’Inghilterra), mentre i privati avrebbero dovuto fornire il capitale e sobbarcarsi l’organizzazione logistica.

Le navi della Virginia Company, il cui nome era un omaggio alla regina Elisabetta I, dopo un tortuoso viaggio arrivarono nell’attuale Baia di Chesapeake. I coloni cercarono subito un luogo che fosse difendibile da attacchi esterni, facilmente raggiungibile da navi di rifornimento e con una fonte di acqua potabile per la sopravvivenza. Dopo quasi due settimane di esplorazione, il 14 maggio 1607 gli inglesi trovarono la posizione ideale su un’isoletta alle foci di un fiume e il piccolo insediamento fu chiamato Jamestown in onore del nuovo sovrano d’Inghilterra Giacomo I Stuart.

Se la colonia riuscì a resistere fu grazie all’operato del ferreo capitano John Smith, un mercenario che aveva combattuto in tutta Europa al soldo del miglior offerente. Rapito dagli Algonchini, John Smith riuscì a instaurare dei buoni rapporti con i nativi, che da allora in poi, anche se a fasi alterne, sostennero la neonata colonia inglese. Secondo i suoi racconti, mai del tutto accertati, John Smith fu salvato dall’intervento della figlia del capo tribù, Pocahontas, che qualche anno dopo avrebbe sposato il colono John Rolfe, quasi a finale suggello dell’amicizia tra i due popoli.

Nel 1617 Rolfe e Pocahontas arrivarono in Inghilterra in cerca di nuovi investitori e coloni, e ci fu un grande clamore quando i due furono accolti al cospetto del re alla corte di Whitehall. L’eccezionalità dell’evento, il contatto con una rappresentante delle popolazioni del Nuovo Mondo, si unì ad un’altra grande scoperta di Rolfe, ben più materiale: la Virginia era il terreno ideale per la coltivazione del tabacco.

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1706. Al numero 216 dello Strand un mercante del Gloucestershire di nome Thomas Twining apre una piccola sala da tè, destinata a un glorioso successo. 1719. Daniel Defoe pubblica The life and strange surprising adventures of Robinson Crusoe, quasi un omaggio alla nascente borghesia mercantile. 1940. Nel suo storico discorso del 4 giugno Winston Churchill evoca l’unione compatta del popolo britannico, l’ultimo baluardo della civiltà contro il Male oscuro del nazismo. Queste e molte altre sono le date attraverso le quali Filippo Gattai Tacchi racconta l’incredibile storia del più grande impero coloniale al mondo e degli uomini che ne furono gli indiscussi protagonisti.

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