L’anima delle cose

È forse possibile riuscire a mantenere integra la propria umanità anche solo dopo un giorno ad Auschwitz?

Éva Fahidi arriva ad Auschwitz con la sua famiglia all’alba del 1° luglio 1944 e sarà la sola a uscirne viva. Per molti decenni i ricordi di quella lacerante esperienza vengono sotterrati negli strati più profondi della sua anima: nell’Ungheria comunista del secondo dopoguerra non è opportuno parlare della deportazione.

Nelle pagine del suo libro, Éva racconta cosa fu la sua vita prima di Auschwitz. Il suo non è soltanto un libro sulla Shoah, è l’affresco di un’epoca. Attraverso il racconto di Éva, vediamo scorrere le immagini d’un mondo ormai scomparso: quello della borghesia ungherese, cancellato prima dal nazismo e in seguito dal regime comunista. Alla rievocazione dettagliata e straziante delle vicende del campo di sterminio nazista, dal momento del suo arrivo fino alla liberazione nel marzo del 1945, si alternano così i ricordi e le storie dei Fahidi, una famiglia di origine ebraica vissuta nell’Ungheria dei primi decenni del Novecento.

Un libro straordinario che mantiene viva la speranza.

«La mia infanzia è finita all’alba del 1° luglio del 1944 sulla rampa di Birkenau. Tutto ciò di cui ho finora parlato fu cancellato col semplice gesto d’una mano, il cenno con cui Mengele ordinò a me di passare da una parte, mentre il resto della mia famiglia andava dall’altra».

 Éva Fahidi